Società & Costume

Il grano bianco e la vetrina del Giovedì santo: Franco, che in bottega porta sacro e profano

Nell’antica via delle Concerie, oggi via Marconi, c’è un laboratorio artigianale dedicato alla lavorazione della terracotta: il suo titolare è Franco Baranello, 60 anni, studioso delle tradizioni locali e dei costumi tipici campobassani. Nella vetrina dello "Scarabattolo", dove crescono al buio germogli di grano "simbolo di rinascita" ogni giovedì santo viene allestita una vetrina ispirata alla settimana pasquale. "Era usanza dei commercianti di questa strada e di via Cannavina. Quest’anno il tema sarà lo Zuchétazù", il culto dell’Addolorata che si conclude con la processione del "Teco Vorrei". In città Baranello è conosciuto anche per le sue dettagliatissime miniature dei Misteri: "Gli abiti di tutti i personaggi li faccio cucire da due anziane magliaie di 90 anni, sono le mie zie".

Per restare bianco il grano di Franco non deve prendere un filo di luce. Per questo da settimane cresce al buio sotto un telo nero di plastica. «Il colore simboleggia la rinascita e sarà pronto per essere portato in chiesa stasera. Le nostre nonne lo facevano sempre e mi piace continuare questa tradizione».
L’antico uso dei germogli color latte è solo una delle usanze che Franco Baranello, campobassano «anzi santantunaro» di 60 anni, porta avanti nella sua bottega di via Marconi.
Definire un semplice laboratorio artigiano lo “Scarabattolo” sarebbe riduttivo: in questo spazio, che tra poche settimane sarà allargato grazie a nuovi locali prossimi all’inaugurazione, rivivono tradizioni e costumi centenari. Come quelli della vetrina del giovedì santo: «Ho fatto delle ricerche, sono andato a ripescare nelle cronache dei giornali pubblicati tra il 1820 e il 1920 l’usanza dei commercianti di via delle Concerie e del Borgo – oggi via Marconi e via Cannavina – di allestire vetrine a tema durante la settimana pasquale».
Lo scorso anno nella bacheca di Franco c’era una perfetta miniatura in terracotta della pace tra le due famiglie in lotta dei Crociati e dei Trinitari «che avvenne proprio in un giovedì santo del 1587». Quest’anno il tema sarà lo “Zuchétazù” il culto dell’Addolorata che risuona durante il Settenario nella chiesa di Santa Maria della Croce, quella da cui uscirà la processione del Venerdì santo.

«Faccio parte del coro da quando avevo sei anni – dice ancora Baranello – era il 1963 e don Armando Di Fabio (all’epoca direttore del coro, ndr) era il mio maestro di religione nella scuola elementare di via Roma. Portò tutti noi bambini a cantare e da allora non ho più smesso».
Il legame tra Franco e la sua città è suggellato anche dalla tradizione del Corpus Domini: le sue miniature degli Ingegni sono il prodotto più ‘commerciale’ in vendita allo Scarabattolo.
Sta realizzando proprio il Mistero di San Michele quando alza lo sguardo da un piccolo dettaglio del volto di un diavolo per parlare del suo brevetto: «I Misteri del Di Zinno anticamente erano 24 ma 6 si piegarono alla prima uscita. Poi il terremoto di Sant’Anna (26 luglio 1805) distrusse altri sei Ingegni (Ss Trinità, Corpo di Cristo, Rosario, Santo Stefano, San Lorenzo e Santa Maria della Croce) nel crollo delle chiese di Santa Maria della Croce (ex sanatorio della città) e della Cattedrale. Ai 12 rimanenti nel 1959 se ne aggiunse uno, il Sacro Cuore, realizzato sul progetto di Di Zinno dai fratelli Tucci».

Tutti i costumi, dei piccoli angeli e dei figuranti, come pure dei pastorelli natalizi in abiti tradizionali campobassani, vengono cuciti a mano da due vecchie zie di Franco Baranello. Le anziane magliaie di 90 anni sono ben felici di tenersi in attività lavorando per la bottega del nipote che una volta allargata diventerà anche spazio per apprendistato. «Tra qualche anno sarò in pensione non voglio che la storia della nostra città vada persa».
Anche perché Franco ha fortemente creduto nel suo lavoro: «Avevo poco più di 40 anni quando ho lasciato il posto fisso (è un ex amministratore della Coldiretti) per buttarmi in questa avventura. L’ho fatto dalla sera alla mattina, un giorno ho sentito qualcosa dentro che mi ha spinto a licenziarmi».
L’ispirazione potrebbe essere nel suo dna visto che nell’albero genealogico di Franco Baranello ci sono anche scultori come l’oratinese Giovannitti. Che sia tutta una questione di corredo genetico?

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