Se ha ragione chi urla di più

Politica dell’insulto: insinuazioni spacciate per verità e menzogne “in nome del popolo sovrano”

Quasi un quarto di secolo fa – era il 16 marzo del 1993 – durante una seduta della Camera dedicata alla “questione morale”, il deputato leghista Orsenigo, agitandosi dal suo scranno come un forsennato, prese a sventolare un cappio invocando la forca per i politici corrotti. Una trovata per finire sui giornali. Infatti ci finì, al punto che del famoso cappio leghista talvolta se ne parla ancora, anche per dire che quello fu in qualche modo l’inizio della degenerazione dei rapporti tra forze politiche e, più in generale, della comunicazione politica. Una degenerazione che ha avuto e sta avendo esiti devastanti: nei dibattiti ha ragione chi urla di più, la discussione è stata sostituita dall’insulto incrociato, i toni del confronto politico sono minacciosi, apocalittici, sprezzanti. Ma queste sono cose perfino ovvie, sotto gli occhi di tutti. Però se fosse solo un fatto di etichetta e di buona educazione ci si potrebbe passare sopra.

Il fatto assai più grave, invece, è che questa canea urlante in cui si è adagiata la classe politica (e anche quella giornalistica) è diventata terreno fertile per l’insinuarsi di menzogne, bugie, interpretazioni fuorvianti delle cose che accadono. I politici, durante i loro scontri, non si sentono più in alcun modo vincolati al rispetto della verità dei fatti, ai dati certi, a realtà oggettivamente riconosciute. L’importante – anche per i media – non è dire qualcosa di concreto su cui discutere ma qualcosa a caso, vero o falso non importa, purché faccia rumore, qualcosa di verosimile (non di vero) che scateni un “oohhh” di indignata sorpresa e un sottile desiderio di vendetta o di rivalsa sociale. Il tutto in un costante rito di manipolazioni, strumentalizzazioni, accuse infondate, slogan indimostrati e indimostrabili.

Un rito che viene amplificato e reso feroce dalla grancassa del web e dei social network, terreno fertilissimo per i manipolatori della realtà e per i produttori di menzogne a uso politico. E’ perfino successo – perché questo è successo – che lo scorso anno questa babele di “autorevoli urlatori” sia riuscita a fare credere agli italiani (anche a molti di coloro che si considerano avveduti e informati) che fossero chiamati a decidere con un referendum se bloccare o meno le trivellazioni dei pozzi petroliferi sul nostro territorio mentre invece il quesito referendario riguardava tutt’altro.

Finora da questo clima e da questi metodi da arena barbarica era riuscita a sottrarsi la politica locale. Del resto, se si amministra un Comune o una Regione si è costretti a fare i conti quotidianamente con questioni concrete, con situazioni riconosciute e riconoscibili, e le invettive gratuite o le sparate “a uso dei giornali” lasciano spesso il tempo che trovano. Certo, sul web anche a livello locale e dunque anche in Molise il cosiddetto dibattito politico è sconfortante: campagne di delegittimazione basate su insinuazioni inverificabili spacciate per verità, incursioni malevole nella vita privata delle persone, analisi politiche (si fa per dire) basate sul nulla, totale disprezzo per la realtà dei numeri, dei fatti concreti, dei documenti.

Ma il web è il web, facebook è facebook, e magari prima o poi ci accorgeremo tutti quanti che una vetrina del narcisismo e dell’esibizionismo in cui è possibile dire tutto e il contrario di tutto senza dover dimostrare nulla non può essere scambiata per un luogo di dibattito politico.

Purtroppo, però, segnali di pericolo qui in Molise non giungono solo dalla rete. Basta osservare ciò che sta accadendo nel Consiglio Comunale di Termoli dove sta prendendo piede l’idea che le urla, gli insulti, il caos permanente siano in qualche modo entrati a far parte delle modalità del confronto. L’inutile e sgradevole sceneggiata di cui qualche giorno fa è lì a testimoniarlo. Al pari della maglietta da frequentatore di Fight Clubs ostentata da un consigliere su cui campeggiava la scritta “Cemento Zero”. Cemento Zero?!

A dire il vero, pessimi segnali erano già arrivati durante il famigerato dibattito sul tunnel di Termoli, un dibattito che è stato infarcito da verità indimostrate, da sospetti trasformati in assiomi inconfutabili, da slogan privi di qualsiasi aggancio alla realtà venduti come verità indiscutibili. Bugie, menzogne, manipolazioni che la virulenza del linguaggio usato sono riuscite a trasformare “argomenti da discutere” in ridicoli “confronti di idee”. Ma come ci si può confrontare sulle idee se i presupposti su cui si basa il confronto sono sballati e manipolati in partenza?

Le menzogne hanno come primo risultato quello di ingannare il popolo, la gente comune a cui – in sostanza – questo vociare bellicoso e incattivito non fa che confondere le idee, impedendo di fare delle scelte in modo oculato e informato. Ma la cosa più curiosa è che l’uso sistematico delle menzogne venga fatto proprio da chi si arroga il diritto di parlare in nome del popolo, di chi pretende di mettersi a capo di una sorta di rivoluzione culturale contro i soprusi del sistema costituito. E la cosa grave è che questa cosa stia cominciando ad accadere anche qui da noi. (Morpheus)

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