Professioni/1

La sarta che crea imitando. Licia, una vita tra le stoffe: “Vestire vuol dire comunicare”

Licia Recchi ha 43 anni e da quando ha 9 anni sa usare perfettamente ago, filo e anche la macchina da cucire. Dopo tanti anni, ha aperto il suo atelier e fa la sarta, una professione antica ma che è tornata di moda negli ultimi anni. Innamorata di Giorgio Armani, «l’unico che può davvero tutto», crea abiti da sera, da cerimonia e da sposa. «Il segreto è capire ciò che vogliono le donne e le spose e farle stare bene con il loro abito addosso. Devono sentirsi loro stesse».

In mezzo agli abiti ci è cresciuta, ci ha lavorato e ci ha trascorso anche le estati di quando era adolescente. Finita la scuola si trasferiva al negozio degli zii, in mezzo a tulle, organza e seta. E ora, quasi dieci anni dopo in mezzo agli abiti bianchi ci è tornata, dopo qualche giro e tanti anni nel settore dell’abbigliamento. «Perché mi piace», racconta lei e lo raccontano anche i suoi occhi e il suo sorriso quando ne parla. Non in quelli degli altri, che arrivano in grandi custodie e finiscono appesi sui grandi appendiabiti. Quelli suoi, che lei disegna, crea, realizza e modifica per le spose termolesi e del Basso Molise che arrivano nel suo negozio, trasformato in un atelier con un laboratorio al primo piano nascosto dagli occhi indiscreti di molti, con metri e metri di stoffe bianche.


Lei è Licia Erre, come si chiama il suo negozio, che nasconde in realtà il suo cognome, Recchi. Ma non quelli storici della città, bensì quelli marchigiani, «mio padre è di Ancona, ma io sono nata a Termoli. Se mi sento termolese? Non lo so, forse no, ma ci sto bene, ho studiato e vivo qui da tanti anni ormai». Ha imparato a cucire da sua nonna: «La mia prima macchina da cucire me l’ha regalata proprio mia nonna alla Comunione perché usavo sempre la sua». Da allora ha cominciato a tagliare, creare e inventare. Con tanta fantasia, un pizzico di creatività per trasformare le sue idee in abiti, giacche, gonne e anche un occhio al mondo, per prendere qualche spunto. Le sue prime creazioni le ha indossate proprio lei, «alle medie» e ancora oggi veste abiti che ha creato, «perché vestire è comunicare».

«Sono figlia d’arte, mia nonna aveva un negozio di abiti da sposa mentre io ne avevo uno di abiti da cerimonia». Adesso ha unito le due cose e dopo anni in cui è stata proprietaria di un negozio di abbigliamento sul Corso Nazionale, è tornata a mettersi in proprio e a fare quello che le piace. «Faccio la sarta, ormai è un lavoro del passato che è tornato ed è il futuro». In mezzo a metri di stoffa e pizzo trascorre ogni giorno le sue giornate per aiutare le spose a realizzare il loro abito da sogno, «quello che le faccia stare bene, non solo fisicamente, anche mentalmente. Quello che quando rivedrai tra dieci anni ti piacerà ancora e non ti stancherà mai». Perchè «le persone contano più del vestito», qualunque esso sia, da quello bianco, a quello da cerimonia fino a quello quotidiano.

Innamorata di Giorgio Armani, «per me zio Giorgio è il massimo, è l’eleganza senza tempo, non classificabile», Licia è anche un pò psicologa, «forse psicologa è dire troppo, ma delle volte serve tanta pazienza e bisogna ascoltare le clienti, soprattutto le spose, per capire davvero cosa vogliono – racconta lei con il suo taglio sbarazzino che nasconde i suoi 43 anni – una volta mi è capitato di dover disegnare e realizzare un abito da sposa in pochissimo tempo per una ragazza che dopo varie prove e tanti giri non aveva trovato nulla; è arrivata agitatissima e prima di chiederle cosa voleva l’ho fatta tranquillizzare, calmata e piano piano abbiamo disegnato e realizzato il suo abito. Che ha adorato». E i clienti termolesi? «Domanda difficile, sono persone diffidenti con le cose nuove, le novità del mondo della moda, bisogna avere pazienza e si convincono anche loro».

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